Forse vi sembrerò pazza (e, in effetti, non ho mai detto di non esserlo) ma dovete sapere che una delle attività che mi appassionano di più è raccogliere informazioni sulle stragi americane.
Sì, proprio quelle in cui c’è sempre un adolescente sociopatico che dopo aver passato l’infanzia a giocare con i soldatini hitleriani un giorno, al liceo, pensa bene di comprare due fucili a ripetizione su e-bay e di cominciare a giocare al tiro al bersaglio con i suoi compagni di scuola.
Quello che mi affascina di più è sapere quali siano le motivazioni di questi ragazzi: è troppo semplice dirsi che sono pazzi, troppo semplicistico.
Ad esempio, nel caso della strage della Columbine High School avvenuta il 20 aprile del 1999, i ragazzi in questione erano due, entrambi d’accordo, armati fino ai denti; due adolescenti che avevano progettato un piano diabolico in due e in due l’hanno portato a termine.
Per “divertimento”, a detta loro.
Uno dei due, infatti, ad un certo punto, dopo aver giocato al gatto e al topo per quasi un’ora con i suoi coetanei aveva smesso perché: “Non lo trovava più divertente.”
Uno dei due, infatti, ad un certo punto, dopo aver giocato al gatto e al topo per quasi un’ora con i suoi coetanei aveva smesso perché: “Non lo trovava più divertente.”
Ecco, quando un ragazzo pensa una cosa del genere solitamente qualcosa non torna.
E la società americana forse c’entra qualcosa: sì, perché, pur non essendo un problema prettamente americano, le stragi scolastiche sono il triste primato di Florida e California.
E di chi è colpa? Della televisione? Della facilità con cui si può ottenere (o, molto spesso, eludere) il porto d’armi negli USA? Delle famiglie?

Me lo sono chiesta molte volte: perchè questi ragazzi pieni di rabbia non trovano ascolto in nessuno?
Ma, poi, mi chiedo anche se veramente l’ascolto, la comprensione servirebbe a qualcosa, se veramente potrebbe fermare quei “cervelli impazziti”, quelle bombe umane caricate ad odio.
Gus Van Sant ha intitolato il suo film, ispirato alla strage di Columbine, “The elephant in the room” riprendendo un modo di dire anglosassone che viene usato per definire quei problemi enormi ma che tutti si rifiutano di vedere. La gente si volta dall’altra parte perché è più facile, senza, però, pensare alle conseguenze, senza pensare che prima o poi quell’elefante si girerà e distruggerà l’intera stanza.
Ma perché l’America? La risposta non c’è, ovviamente. Eppure l’idea che la società americana e, soprattutto, la realtà giovanile americana sia la più devastata dal bullismo, dal razzismo, dal maschilismo, dall’omofobia non manca di un certo fondo di verità. E’ come se gli ideali americani e l’atmosfera politica americana abbiano corso troppo lasciando indietro le persone, lasciando da sole le persone, abbandonandole a loro stesse. Il sogno americano non si è avverato e, soprattutto, il popolo americano molto spesso non ci crede nemmeno più.
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