[…] Ho visto spiagge di zucchero e un’acqua di un blu limpidissimo. Ho visto in completo casual da uomo tutto rosso col bavero svasato. Ho sentito il profumo che ha l’olio abbronzante quando è spalmato su oltre dieci tonnellate di carne umana bollente. Sono stato chiamato “Mister” in tre diverse nazioni. Ho guardato cinquecento americani benestanti muoversi a scatti ballando l’Electric Slide.

— incipit       

Il titolo originale di questo romanzo è sicuramente più azzeccato rispetto alla traduzione in italiano: “A supposedly fun thing i’ll never do again” ossia, tradotto, “Una cosa presumibilmente divertente che non farò mai più”.

Perchè, all’interno di questo reportage ironico e sagace, vengono descritte, con una dovizia di particolari impressionante, tutte le cose che dovrebbero far divertire le persone a bordo di una 7NC ossia una crociera extra lusso di 7 giorni ai Caraibi e dovrebbero riportare indietro i protagonisti alla calma e alla nullafacenza uterina ma che, in realtà, rappresentano solo il sintomo di una decadenza umana inarrestabile.

David Foster Wallace, nel ’95, venne inviato dal magazine Harper’s a prendere parte a una crociera della compagnia Celebrity e a fare un reportage del viaggio: probabilmente ciò che cercavano i committenti era un racconto stile “marchetta” delle gioie della vacanza extra lusso, ciò che ricevettero, però, fu un’analisi impietosa, in pieno stile Wallace, e una critica feroce all’opulenza e all’horror vacui dell’americano medio.

“Per tutta la settimana mi sono ritrovato a fare tutto il possibile per distinguermi, agli occhi dell’equipaggio, dal gregge di caproni di cui faccio parte, per discolparmi in qualche modo.”

Ho amato questo piccolo saggio di 150 pagine: la scrittura ironicamente disperata dell’autore crea una vera e propria dipendenza e a fine lettura mi sono scoperta triste, era finito anche il mio viaggio insieme a quello di Wallace. Un viaggio unico nei pensieri e nelle emozioni  di uno scrittore geniale che, in questo breve racconto, ha saputo raccontare le idiosincrasie di un mondo borghese e  idiota, dedito al divertimento più sfrenato per dimenticare le brutture di una vita fatta di stress, lavoro ed esasperazione.

Si potrebbe definire “Una cosa divertente che non farà mai più” un capolavoro dell’umorismo postmoderno e sicuramente non si sbaglierebbe: questo saggio breve è una piccola pietra preziosa in un panorama di saggi e romanzi brutti e scontati che affollano le librerie.

“Ho sentito cittadini americani maggiorenni e benestanti che chiedevano all’Ufficio Relazioni con gli Ospiti se per fare snorkeling c’è bisogno di bagnarsi, se il tiro al piattello si fa all’aperto, se l’equipaggio dorme a bordo e a che ora è previsto il Buffet di Mezzanotte.”

Nonostante avessi a casa due libri di questo autore, ho iniziato con questo saggio per avvicinarmi a lui e non ho sbagliato: sono rimasta innamorata dello stile sagace e brillante con cui viene descritta l’esperienza di una crociera anche se, secondo me, non viene assolutamente voglia di intraprendere un’avventura simile e le risate che mi sono fatta mi hanno portato ad odiare i “caproni” più volte descritti da Wallace.

Dal punto di vista simbolico, l’autore ci dipinge la vacanza in crociera come l’affermazione della lenta decadenza biologica delle persone. Queste ultime cercano di contrastare il degrado morale attraverso la disciplina del miglioramento di se stessi, con la ginnastica quotidiana, la dieta a cinque stelle, le vitamine, i giochi e le feste a non finire.

Il trionfo del capitalismo occidentale sull’oceano che, prendendo spunto da Moby Dick, rappresenta la morte e l’ignoto è tanto antico quanto ostile all’essere umano che si illude di poterlo dominare e per esorcizzare la paura costruisce delle regge galleggianti.

Un’esperienza presumibilmente divertente, quindi, che nasconde, però, nel profondo l’ipocrisia dell’uomo che non accetta se stesso per ciò che è, ossia una parte della natura.

Lettura consigliatissima sotto vari strati e livelli: un livello superficiale fatto di battute e risate, un livello profondo e introspettivo che ci spinge a ragionare su chi realmente siamo e quale sia il nostro vero posto nel mondo.