È una sera come tante, eppure Francesco non sa che, proprio quella sera, la sua esistenza cambierà per sempre.
Il padre inizia a non stare bene, vomita, lo trasportano in ospedale e improvvisamente muore vittima di un letale aneurisma.
Francesco ancora non lo sa, ma di fronte alla morte del padre, uomo di importanza maestosa nella sua esistenza, la sua vita si sgretolerà.
Inizia, infatti, a partire da quel giorno, un percorso a ostacoli: Francesco comincia a soffrire di ansia, di insonnia, di terribili attacchi di panico che gradualmente lo costringono in una condizione di impossibilità a far tutto, anche solo a compiere azioni semplici, di vita, di svago.
Napoli, la sua città natale, diventa un mostro a sei teste impossibile da vivere: impensabile camminare tra le sue vie, comprare un romanzo in una libreria del centro, uscire a cena, fare nuove conoscenze, insomma, abbracciare la vita.
Comincia così, per Francesco, un percorso di sofferenza fatto di terapia con la psicologa, sforzi cocenti per recuperare la normalità e, poi, il rifugio nella scrittura che, in questo caso, come in tanti altri, riuscirà veramente ad essere ancora di salvezza: la redazione e la pubblicazione del romanzo “La bambina celeste”, prima opera di Francesco che lo porterà quasi a vincere un importante premio, sarà il modo per uscire vittoriosi dal dolore, seppur mantenendo fragilità e rimpianti legati a quella figura paterna che manca come l’aria e che nessun traguardo potrà mai sostituire.
Quando il padre scompare, Francesco inizia a capire che si è aperta in lui una voragine: esiste solo l’assenza, il rimpianto di come sarebbe potuta andare, la delusione di un’eternità che si è scontrata con la realtà.
“Restare vivo” racconta come si riesca a vivere senza un pezzo di noi, come si possa resistere, pagando a caro prezzo, di fronte alla mancanza di controllo sul proprio corpo e sulla propria mente.
La discesa in un inferno personale fatto di angoscia, panico e anormalità viene narrata nel dettaglio, offrendo uno spaccato di vita o, sarebbe meglio dire, di “non vita”, non tralasciando, però, la volontà di rinascita e la capacità di uscire dall’ostaggio delle paure e di ricominciare un’esistenza completamente rinnovata e, forse, felice.
Borrasso narra tutto questo con uno stile affascinante che sa prendere alla gola il lettore: il viaggio nei suoi ricordi, nelle sue mancanze, la ricerca di una pace e la volontà di ricostruzione di se stessi vengono tratteggiate con eleganza ma estrema partecipazione intima e, alla fine, è impossibile non abbandonarsi alle lacrime.
La figura paterna che si staglia mitizzata sullo sfondo viene ricordata con ingenuità bambinesca e si riaffaccia al senso di perdita delle normalità, delle gioie impossibili da riprovare.
Ma non è il padre il focus, sebbene aleggi sempre presente tra le pagine, bensì Francesco, scrittore e sceneggiatore pieno di talento, consumato dalla sofferenza: il suo corpo che è prigione pian piano si trasforma in opportunità, in un quasi totale superamento del dolore e ciò che ne deriva in noi lettori è un senso felice di vittoria, di riuscita.
Poiché, questa vittoria, non deriva dall’ignoramento del dolore ma dall’essere riusciti ad attraverarlo con consapevolezza attraverso il pensiero e la scrittura.
Con un linguaggio preciso e pulito, Francesco racconta le sue cadute e le sue risalite: la depressione è subdola e così va raccontata affinché tanti di noi possano scoprire il buio e la capacità di superarlo.
Il romanzo chiude un cerchio: il padre lo aveva avvicinato ai libri e l’ancora di salvezza di Francesco sarà proprio la scrittura di un romanzo che narra di dolore e di perdita.
Nelle sue pagine, non troveremo mai la gioia fine a se stessa ma sempre il raggiungimento faticoso di una serenità dopo anni di grande dolore e disperazione ed è proprio così la verità, il vivere, l’essere umano.
VOTO: 5