Coleman Silk è un professore universitario che ha rivoluzionato l’ateneo dell’Athena College e che ormai, a 71 anni, può contare su una sfavillante carriera e sulla stima di tutti i suoi colleghi.
Fino al giorno in cui definisce, senza averli mai visti, due studenti con l’epiteto di “spookie”: un termine che significa “spettri” ma che nel gergo americano ha anche il significato spregiativo di “negri”. Si dà il caso che i due studenti siano proprio di colore e che Silk venga così osteggiato, accusato di razzismo fino al punto di dover rassegnare le dimissioni.

Quest’ onta, assolutamente priva di senso in quanto Silk voleva solo sottolineare il fatto che quei due non si facessero mai vivi a lezione proprio come dei fantasmi, lo priva anche di sua moglie Iris, morta a causa di un ictus (oppure dal crepacuore) e lo spinge a contattare lo scrittore Nathan Zuckerman che altri non è se non l’alter ego dell’autore del romanzo, Philip Roth.

Eppure Silk nasconde un segreto ben più grave e sorprendente, infatti, durante la sua giovinezza si è iscritto in marina in qualità di uomo di razza bianca e ha mentito tutta la vita sulle sue origini, mettendo al bando la famiglia, colpevole di essere “di colore” e di rovinare la sua ascesa nel mondo brillante dei WASP.
Tutta la vita basata su una terribile bugia, portata avanti grazie al colore chiaro della sua pelle che lo ha reso “più bianco dei bianchi”.

Dopo l’accusa di razzismo, Coleman Silk intreccia una relazione con la bidella analfabeta di 34 anni Faunia Farley, separata e vittima di stalking dal reduce di guerra Les Farley.

Tutte queste storie si intrecciano senza che se ne capisca il significato: il romanzo dovrebbe essere il terzo della trilogia americana di Philip Roth ( e viene dopo “Pastorale americana” e “Ho sposato una comunista”) e dovrebbe rappresentare una critica al perbenismo vigente negli Stati Uniti.
Quello che ne risulta, invece, è la rappresentazione di un personaggio, Coleman Silk, che non solo rifiuta le sue origini, le sue radici, tagliando i ponti con la sua famiglia in onore della ricerca di privilegi e diritti che (negli anni ’50 del Novecento) erano negati ai neri; un personaggio, quindi, che si veste di questo perbenismo, che ne fa una ragione di vita e che, vivendo nella menzogna, non combatte, non porta avanti nessuna battaglia per la sua gente ma, anzi, si trincera dietro ad una bugia per tutta la vita.

Come critica al perbenismo americano mi pare un po’ contraddittoria: passiamo anche sopra al fatto che un nero possa passare per bianco (anche se ho fatto tante ricerche e non ho trovato nessun caso simile nella realtà), passiamo anche sopra al fatto che nessuno dei quattro figli di Coleman, né i nipoti presentino caratteri di una persona di colore, ma non possiamo evitare di pensare che questo romanzo non esprima una critica, un j’accuse, anzi, raffiguri Coleman come un personaggio positivo quando, invece, è totalmente disprezzabile il suo comportamento.

Lasciamo stare la critica al perbenismo, dunque, e prendiamo questo romanzo per quel che è: la scelta di far narrare i fatti a Nathan Zuckerman è sicuramente un errore enorme in quanto, in alcune parti, lo scrittore si fa messaggero di pensieri talmente reconditi nella mente di Coleman, Faunia e Les Farley che è davvero impossibile credere che questi fatti gli siano stati raccontati dai protagonisti. Questa narrazione onnisciente ma basata sul racconto da parte degli interessati fa acqua da tutte le parti e diventa veramente difficile, in certi punti, sospendere il giudizio.
Lo stile, poi, è totalmente frastagliato: in poche righe si passa da un argomento all’altro, da un pensiero all’altro senza dare al lettore la possibilità di raccapezzarsi e di comprendere il senso di ciò che legge.

Lo sfondo politico, ossia, il caso Clinton-Lewinski, viene narrato in maniera alternata senza che si capisca bene il senso logico: forse la critica al perbenismo sta proprio in come gli americani presero quello scandalo e in come ne venne fuori, abbastanza pulito, il Presidente degli USA.
Eppure non c’è una vera e propria costruzione: anche la parte finale, con l’entrata in scena di Delphine Roux, nemica acerrima di Silk all’università, oppure il fatto che non si comprenda se Les Farley, in quanto autore dell’omicidio di Silk e Faunia, venga catturato oppure no, sono tutte storie a metà, non finite, che lasciano spazio al lettore, certo, ma anche molta confusione.

Tutti i personaggi del libro fanno sia pena che rabbia: a partire da Coleman, costruttore di bugie, detentore di una vita basata sulla falsità e la menzogna o continuando con Faunia, madre di due bambini morti per la sua distrazione, vittima della sua sessualità, disgraziata ma senza redenzione, per non parlare di Les Farley, condannato alla sindrome di stress post-traumatico eppure crudele e, ugualmente, senza nessuna redenzione.
È un mondo molto brutto, quello raffigurato da Roth, un mondo in cui non c’è molto spazio per i sentimenti veri, l’amore, la fratellanza, l’amicizia: c’è sesso, abbandono, chiusura nei confronti degli altri e quel che resta di queste pagine è solo un estremo senso di soffocamento e sofferenza.

Questo è stato il primo romanzo di Roth che abbia letto e non credo ce ne saranno altri, trovo che questo scrittore sia stato altamente sopravvalutato.
E, a voi, piace Philip Roth?

VOTO: 2