Peter Vronsky non è sicuramente uno di quegli uomini che si alzano una mattina fingendo di essere sensibili alla causa femminista.

Anzi, ha tenacemente in odio le idee delle Femministe del terzo millennio, colpevoli, almeno a suo avviso, di vittimizzare qualunque creatura, anche efferata assassina, sia portatrice di cromosomi XX.

Devo dire che, da donna, questa sua pervicace battaglia, fatta di pungenti battutine e di antitesi rabbiose, mi ha colpito in maniera negativa: mi è sembrato quasi che prendesse i casi più esasperati di studiose coi paraocchi e che li mettesse nel suo piatto per poter dire che il Femminismo è tutta una grande presa in giro.

Mi ha anche stupito che per trattare le storie e la psicologia delle serial killer donne abbia dovuto proprio cominciare confutando le idee che le vedono come vittime del maschio che hanno alzato la testa e si sono difese: mi sembrava, infatti, lampante che una tesi del genere fosse insostenibile e non avrei perso tutte quelle pagine per buttare giù l’esile muro di auto-difesa di queste sedicenti femministe.

Dopo questa apertura, un po’ traumatica devo dire, il saggio prende forma con l’analisi di quelle che potrebbero essere le motivazioni reali di una serial killer in gonnella e, alla fine, si scopre che non sono molto diverse da quelle di un predatore sessuale: anche le donne vogliono dominio, ritorni economici, a volte, vendetta ma più raramente si lasciano andare a torture per il piacere sessuale, le donne molto spesso sono pulite e silenziose.

Mi è sicuramente piaciuto come Vronsky narrando le storie di queste celebri serial killer non abbia taciuto la loro storia passata fatta di abusi psicologici e fisici: prendiamo Aileen Wuornos, definita erroneamente la prima serial killer donna d’America, la sua vita ha rappresentato una lunga sequela di abusi e di torture psicologiche e fisiche che, sicuramente, hanno aperto la strada all’epilogo finale nei sette omicidi di uomini.

Anche in questo senso non mi sento proprio di ostracizzare coloro che dicono che una vita del genere, una vita di puro orrore non potrebbe aver fatto pensare ad Aileen ad una sorta di vendetta contro tutti gli uomini, rendendoli tutti colpevoli una volta per tutte.

Il saggio parte proprio dalle prime serial killer dell’Antica Roma, come Messalina ed Agrippina, per giungere ai giorni nostri (credo sia un po’ vecchiotto, forse del 2007, perchè non vi sono notizie successive a quell’anno!): l’analisi di tutte le vicende delle più famose omicide seriali sono certosine, a volte, anche disturbanti.

Ad esempio, come è trattata la storia di Karla Homolka e di Paul Bernardo, gli sposini canadesi che uccisero in una follie à deux tre vittime nelle maniere più ripugnanti pensabili da mente umana, mi ha lasciato sbigottita, l’inserimento dei verbali di tutto ciò che i due dicevano davanti alla telecamere prima e durante gli omicidi mi ha costretto ad allontanarmi dal Kindle per un giorno intero. Troppo anche per me, che del truce e dell’inquientate ho fatto la mia passione.

Sicuramente, però, ha reso la storia di Karla molto interessante: Karla Homolka non ha alle spalle un’infanzia tragica, ma una vita normale da adolescente vacua da centro commerciale e compiti per casa, quando incontra Paul, però, qualcosa in lei diventa estremamente malvagio tanto che si ha ancora il dubbio che 2 delle vittime siano state finite da lei stessa, dopo giorni di torture e abusi.

La storia che più mi ha colpito, però, è stata quella di Velma Barfield che iniziò ad uccidere dopo un’isterectomia: questo ci fa anche pensare al fatto che, probabilmente, la malvagità sia anche figlia della chimica e della biologia e che non c’è un’età in cui si è salvi dal diventare dei criminali.

Insomma, “Genesi mostruose” è un saggio di nera sulle donne serial killer molto completo e ben fatto: perchè instilla dubbi, fa riflettere e ci permette di scoprire storie, almeno a volte, di ordinaria follia.

La fine mi ha spiazzato davvero: nella postfazione Vronsky ci invita caldamente a non uccidere per nessun motivo. Scrive con pathos “Non fatelo!” e io l’ho trovato un po’ esagerato: sebbene i casi di omicidi seriali siano in crescita ed esistano zone molto critiche in America per densità abitativa ma anche per il tipo di vita che intraprendono certe persone, non mi sarei mai aspettata di essere invitata a non uccidere dall’autore.

Beh, è un consiglio che accetto volentieri anche perché la vita è così sacra per ognuno che strapparla a qualcuno è come tagliare i fili con la propria umanità.