Da appassionata di libri, ho creato un club di lettura nel paesino dove vivo: siamo rimasti in pochi, a causa degli impegni e della vita frenetica di tutti, ma, come si dice in questi casi, meglio pochi ma buoni!

E così, lo scorso mese, una delle mie adepte ha scelto il romanzo che avremmo dovuto leggere e la sua scelta è caduta proprio su “Finchè il caffè è caldo” di Kawaguchi.

Subito ho storto il naso: ok, è stato un caso letterario recente, credo lo abbiano letto anche i muri ma io, per come sono fatta, diffido sempre dal mainstream e, anche in questo caso, non mi sono sbagliata.

Tutte le vicende si svolgono in una storica caffetteria dove è possibile, rispettando alcune regole, tornare nel passato.

Le regole sono ferree (alcune un po’ assurde!):

  • Bisogna sedersi su una sedia specifica, occupata da un fantasma che si alza solo una volta al giorno per andare in bagno
  • Si possono incontrare solo persone che sono già state nel caffè almeno una volta
  • Si può sostare nel passato solo finché il caffè non si raffredda
  • Qualunque cosa succeda non si potrà mai modificare il presente
  • Le persone possono viaggiare nel tempo (si potrebbe anche andare nel futuro) solo una volta nella vita.

Si capisce, perciò, il motivo per cui le persone, di fronte a queste regole, rinuncino spesso a provare e, infatti, il caffè è visitato sempre dalle stesse persone di cui, leggendo, impariamo a conoscere le storie.

I proprietari sono Nagare, un uomo corpulento ma molto buono, e la moglie, incinta ma malata di cuore gravemente. Poi, vi è l’aiutante tuttofare Kazu che apre sempre la cerimonia di ritorno al passato e che dimostra una freddezza tutta nipponica nei confronti delle vicende tragiche degli avventori.

Poi, troviamo Hirai che torna nel passato per reincontrare la sorella morta in un incidente d’auto, Fumiko che, invece, vuole retrocedere all’ultimo incontro con il fidanzato Goro che l’ha abbandonata partendo per l’America, Kotake e Fusagi, marito e moglie che, però, hanno visto il loro matrimonio spezzarsi a causa dell’Alzheimer di lui che non si ricorda più niente e, infine, la proprietaria del Caffè che, invece, va nel futuro per incontrare la figlia.

Le prospettive potrebbero essere interessanti, a volte i ritorni nel passato sono anche commoventi se si considerano i motivi e gli intenti dei protagonisti, quello che manca sicuramente è un certo pathos nella scrittura che, invece, scorre gelida e lineare senza mai tradire un’emozione.

Lo stile è semplice, fin troppo e i dialoghi sono poveri: anche di fronte agli episodi più drammatici, come ad esempio quello di Hirai che torna per parlare con la sorella morta, non ci sono scambi profondi ma inutili convenevoli e frasi a metà.

Non posso, poi, non far notare l’inverosomiglianza di certe vicende: l’ambientazione è nel 2014, era di smartphone, email e connessione internet, eppure la bella Fumiko vuole tornare nel passato per parlare con il fidanzato Goro invece di scrivergli un messaggio oppure prendere un aereo e volare in America.

L’unica scena che ho trovato credibile è stata quella del viaggio nel futuro della proprietaria del locale che, sapendo che non sarebbe sopravvissuta alla fine della gravidanza, decide di vedere la figlia nel futuro per poterla salutare almeno una volta.

Eppure tra mamma e figlia non scorrono emozioni, nessun dialogo ben costruito, le due non riescono quasi a dire niente: sopraffatte dall’emozione o semplicemente personaggi di un autore che non sa gestire i dialoghi e le scene emozionanti? Bah.

A questo si aggiungono le scenette pietose degli avventori che vanno in cassa (il registratore di cassa viene descritto in tutti i suoi particolari all’inizio, rubando spazio a molto altro e rendendo la narrazione iper noiosa) e consegnano il denaro:

  • Quanto le devo?
  • Fanno 380 yen!
  • Ecco qui a lei 1000 yen!
  • Grazie, fanno 620 yen di resto!

Questa scena del resto si ripete almeno 5 volte all’interno del libro: io la trovo ridicola e fuori luogo e voi cosa ne pensate?

Lettura da spiaggia, insomma, il libro si divora e, anche se l’ho letto dal Kindle, ho il sospetto che sia molto corto perchè davvero, l’ho finito in un giorno.

Quello che posso dire è che non mi ha lasciato niente, forse solo un senso di vacuità dei rapporti figli forse di una tradizione giapponese che è molto più glaciale e fredda della nostra.

Avrei dovuto percepire affetto, amore tra i personaggi, avrei dovuto appassionarmi alle loro storie e, invece, penso che tra due settimane non mi sarò portata dentro niente e avrò sprecato il mio tempo a leggere di resti in yen e descrizioni vuote di significato.

Lo consiglio, ovviamente, a chi vuole stare per qualche ora con la testa leggera, senza dover ragionare o pensare ma, credetemi, non è questo che dovrebbe essere la letteratura, come diceva Kafka, la letteratura è un’ascia che spacca il mare di ghiaccio che è dentro di noi, non un passatempo superficiale e vano.

Oltretutto, Kawaguchi ha scritto anche il seguito, io sicuramente me ne terrò alla larga…