Ricordo un giorno, lontano negli anni oramai: i miei genitori avevano invitato una coppia di loro amici a pranzo, quest’ultimi avevano una figlia, una bambina proprio come me. La portai in camera mia e le mostrai i miei poster e i miei pupazzi ma lei si accorse di un piccolo ritaglio appeso all’armadio e mi disse, con aria curiosa e innocente: “Cos’è?”
Risposi immediatamente: “Il testo della mia canzone preferita.”
Avevo nove anni e la canzone era “Gli uomini non cambiano”.
Canzone che, da adulta, avrei iniziato a criticare per il finale perbenista e gigione e che avrei iniziato a cantare, sostituendomi a Mimì, in tutti i karaoke e ricavandone applausi, applausi che io, segretamente, dedicavo tutti a lei.
Ho amato Mia Martini con tutta la forza della mia adolescenza ribelle, ascoltavo “Padre Davvero” nei momenti in cui detestavo mio padre (“Padre, davvero ma chi ti somiglia ma sei sicuro che sia tua figlia!”), “Per amarti” durante i miei lunghi e numerosi amori non corrisposti (“Che dirà, che farà per amarti?”), nei fragili momenti di felicità ora ascolto “Almeno tu nell’universo”.
E in questi 27 anni di rapporto viscerale con Mimì posso dire una cosa: ci somigliamo.
Non riesco ad appassionarmi se non ad artisti a cui assomiglio.
Leggendo questo articolo forse vorrete sentire del gossip, della sanguinosa storia con Fossati, delle malelingue sul suo conto.
Vi starete chiedendo se c’è un fondo di verità…
Posso raccontarvi la mia Mimì, invece?
La mia Mimì la rivedo di fronte ad ogni foglio bianco che non riesco più a riempire, anche lei aveva perso la voce per qualche anno a causa di un delicato intervento alle corde vocali. La voce, poi, era tornata ma più roca.
Percorsa da una vena di tristezza e malinconia.
Anche la mia Musa è tornata a volte, sempre diversa, meno sagace, più innocua.
Mimì la rivedo nel mio femminismo spiegazzato, lo stesso de “Gli uomini non cambiano”, quel femminismo non radicale che dà sempre una speranza di rivalsa agli uomini.
Quando canto le canzoni di Mimì penso sempre ad una frase che disse Morgan riferendosi a lei durante uno dei primi X-factor: “Avrebbe cantato benissimo anche l’elenco telefonico”.
Mi immedesimo, mi ascolto cantare e come diceva sempre Mimì (scusate il citazionismo disperato): “Ci vuole poco a fare le canzoni raffinate, la fatica è fare le canzonette melodiche”.
Canzoni che restano.
Siamo lontani anni luce dalle canzoni di questo Sanremo 2019 e sapete perché non resterà nessuna canzone di quelle in gara quest’anno? Troppo impegno sociale e poche canzonette melodiche…
Ma la musica, le parole cantate da Mimì resteranno per sempre.
Patty Pravo sembra essere stata una delle prime a far correre la voce che Mimì portasse jella. Un’accusa di un’idiozia talmente assurda che non permette difese. Spero che non sia vero ma averlo letto mi fa guardare con altri occhi la cantante.
Nessuno può credere cosa dovette subire Mimì per una diceria così tremenda: fine della carriera, fine degli ingaggi, fine di tutto.
E poi venne la depressione, l’abuso di farmaci, la droga: un tunnel da cui è ben difficile uscire.
Tornarono anche i successi ma con un sapore più amaro, quella di Mia Martini fu una rivincita sempre a metà perché i colpevoli di ciò che le era stato fatto non vennero mai condannati pubblicamente e forse nemmeno lei seppe mai chi fossero stati.
Torniamo un attimo a me bambina, torniamo a quel ritaglio di giornale col testo de “Gli uomini non cambiano”, torniamo allo stupore della mia amichetta che ascoltava i Blue: torniamo alle radici, al mio femminismo che inizia a sbocciare, all’odio viscerale verso il mondo xy che poi diviene desiderio e scoperta…Il ritaglio, poi, lo tolsi, lasciando spazio a un mantra sul training autogeno.
Perché quella canzone è meno mia ora, ora che da femminista radicale sono solo una rammollita impaurita dalla solitudine.
Anche se quel finale che salva tutti io l’avrei cambiato…
Fossi stata in lei, io, non avrei salvato proprio nessuno.