“Quella voce ci affascinò come un sortilegio, un prodigio che non si poteva definire in alcun modo, la si poteva soltanto ascoltare come prigionieri di un incantesimo, di un turbamento mai esplorato prima. Ma non si può rendere appieno la tempesta di emozioni che suscitava in chi l’ascoltava per la prima volta. Perché Maria è un regalo di Dio che non si può definire nel tempo: Maria c’è sempre stata e ci sarà per sempre.” (Franco Zeffirelli)
La prima volta che ho ascoltato la sua voce non mi è piaciuta. Non sono l’eccezione, anzi, la maggior parte delle persone che si avvicinano a Maria Callas non la apprezzano subito. Quel timbro deciso, forse troppo, quasi metallico, il tono acuto, altissimo ma che sa trasformarsi nel diretto contrario, con note gravissime, in un saliscendi melodico quasi disturbante. Qualcuno una volta ha detto che la Callas è stata la più grande artista di ogni tempo perché ha saputo fare delle sue imperfezioni i suoi pregi, non so se sia vero ma so che insistendo nell’ascoltare la sua voce l’ho amata perdutamente.
È una voce che nasconde passione e una sofferenza interiore, corposa e cristallina, una voce che ferisce l’anima. Così, nel tempo, ho voluto conoscere da vicino questa artista unica e ho scoperto una vita dolorosa, segnata da piccole e grandi infelicità, sensazioni di inadeguatezza, amori travagliati. Una vita in cui mi sono vista riflessa, col mio carattere umbratile, con i miei piccoli capricci e le intemperanze, con le storie d’amore finite sempre male e, forse, ancora insuperate.
Maria Callas nasce a New York (anche se concepita in Grecia da genitori grechi) il 2 settembre 1923 sotto il nome di Anna Maria Cecilia Sophia Kalos. È una bambina allegra ma nel 1928 subisce un grave incidente finendo sotto una macchina trascinata per molti metri: esce dal coma e si salva ma il suo carattere, a detta della madre, cambierà indelebilmente. Da questo momento in poi la bambina buona diventa schiva, chiusa, dal temperamento difficile, scostante.
E proprio questo carattere la renderà nota in tutto il mondo come Diva capricciosa e nevrotica.
Non mi voglio dilungare sui suoi studi e sulla sua carriera: fu semplicemente sfolgorante.
Lei era l’unica che potesse interpretare certi ruoli e, infatti, riportò alla ribalta opere che non erano più in repertorio perché nel panorama lirico non c’erano cantanti all’altezza di quei ruoli femminili.
La Callas, però, si vide costretta a rifiutare numerosi ruoli perché non si sentiva adatta fisicamente: una disfunzione ghiandolare causava in lei un grave sovrappeso che la rendeva goffa in scena. Nel 1953 avverrà, però, la trasformazione e Maria perderà ben 36 chili divenendo la stella delle scene operistiche: unendo il fascino di Audrey Hepburn, suo modello di vita, la presenza scenica di Eleonora Duse e la mimica delle grandi attrici Hollywoodiane, sarà la regina indiscussa nel suo campo. Le rappresentazioni della Callas erano vive, tangibili, il suo muoversi lungo la scena cantando sarà ricordato da tutti i suoi contemporanei come unico nel suo genere.
Un po’ controversa la vicenda del dimagrimento: leggende narrano che Maria avesse ingerito volutamente un verme solitario, altri, però, affermano che una dieta sana e il superlavoro risolsero naturalmente i suoi problemi di obesità.
Nel 1947 la Callas è in Italia e qui trova marito: trattasi di un imprenditore veneto, Meneghini, sposato nel 1949 su insistenza di lui.
Non credo che Maria fosse innamorata, credo che l’amore vero lo abbia incontrato nel 1957 al’Hotel Danieli di Venezia: era Aristotele Onassis, armatore plurimilionario, definito sciupafemmine di donne famose e, soprattutto, “uomo più ricco del suo tempo”.
Non sono i soldi ad attirare la Callas ma quel fascino indubbio e, forse, l’apparente sicurezza offerta dall’idea di riunirsi con un suo conterraneo: una crociera con lui sarà fatale per porre fine al matrimonio con Meneghini.
Da qui il declino: la Callas si concentra sul suo amore ma, soprattutto, sulla vita mondana e civettuola che quest’ultimo le impone. Onassis non era nemmeno appassionato di lirica, non era interessato al lavoro di Maria ma lei era interessata a lui in maniera viscerale, appassionata, oserei dire malata tanto da abbandonare la musica e il suo mondo.
Nel 1960 nasce un figlio, Omero, che, però, morirà di insufficienza respiratoria poche ore dopo: è un duro colpo per la Callas che, nel frattempo, ha cominciato ad avere problemi vocali.
Una voce sempre più spenta, debole con la quale non riesce a portare a termine le sue esibizioni scatenando l’ira del pubblico e dei committenti: l’ultima opera integrale sarà la Tosca del 5 Luglio 1965.
Ma il vero dramma è alle porte: per una donna che “visse d’arte ma soprattutto d’amore”, parafrasando un’aria pucciniana che Callas amava particolarmente, la decisione di Onassis di abbandonarla per sposare, nel contesto di un matrimonio di interesse, Jacqueline Kennedy, da poco rimasta vedova del presidente americano, è un durissimo colpo.
Maria cade in depressione e diviene preda del Metaqualone, un potente barbiturico che lei stessa definirà nei suoi diari “la droga”.
Nel ’69, dopo aver dilazionato le sue esibizioni canore, accetta una nuova sfida e diviene la protagonista della Medea cinematografica di Pasolini: la critica la esalta ma il pubblico no.
Da questa collaborazione con Pasolini nasce, però, un rapporto particolare, fortissimo: si dice che Maria si fosse innamorata di lui e volesse convertirlo all’eterosessualità. Non ci riuscirà ma la smania di trovare un nuovo amore la seguirà fino alla sua morte, portandola anche a intrecciare un rapporto con l’impegnato tenore Di Stefano.
Onassis, però, non se ne andrà mai dalla sua vita, almeno fino alla sua morte, avvenuta nel 1975 in seguito ad una banale operazione chirurgica: il ménage a trois instaurato tra loro due e Jacqueline sarà un enorme fonte di stress per lei che scenderà sempre di più nell’abisso della disperazione fino alla sua morte avvenuta in circostanze misteriose nel 1977 a Parigi. Si dice che sia morta per problemi cardiaci ma c’è chi insinua che si sia suicidata con gli stessi barbiturici di cui abusava.
Certamente, una vita memorabile quella della Callas, una vita di successi, consacrazioni ma anche di notevoli disgrazie e sofferenze: un’esistenza come la sua voce, dai colori scuri e limpidi insieme.
Io ho amato la donna prima dell’artista, per le sue fragilità nascoste all’ombra di un carattere volubile, instabile, mutevole, ho amato la sua capacità di amare profondamente, un amore che sbuca fuori dalle stesse note cantate con tenacia in ogni esibizione.
Sono stata all’arena a vedere la Butterfly, sabato scorso.
Ho immaginato di sentire lei quando è partita la dolce musica di “Un bel dì vedremo”: ho percepito come dovesse sentirsi mentre la cantava, magari, dopo che Onassis l’aveva lasciata, ho percepito anche come mi sono sentita io, tra i vicoli milanesi, quando l’ascoltavo disperata e col cuore gonfio di pianto. È un capolavoro. Avrei voluto poterla sentire cantata da lei. Perché, certamente, quei sentimenti, quella sofferenza, quella speranza espressi nel testo dell’aria e nella sua musica lei li aveva vissuti.