Domenica sono stata al cinema a vedere “Educazione Siberiana”: sotto la locandina c’è una scritta cubitale che recita l’ormai immancabile motto “tratto da una storia vera.”. Un’ultrarealista come la sottoscritta non poteva resistere, anche perché, dal trailer, sembrava una storia tutta da piangere e io credo fermamente nell’impulso catartico dei piagnistei cinefili.
La trama, in soldoni, è questa: Stalin nel 1938 si sarebbe impegnato a deportare tutti i più grandi clan criminali russi in Transnistria, una regione al di là del fiume Dnestr e tra
queste comunità vi sarebbero stati i siberiani, i cosiddetti Urca, i più poveri ma anche i più temuti. Nicolai, poi, soprannominato Kolima, nasce negli anni ’80 e assorbe tutti gli insegnamenti di questi criminali “onesti”, grazie ai dettami del nonno: non si stuprano le donne, non si tocca il denaro, si ruba solo ai ricchi, si uccide solo per buoni motivi, le armi utilizzate per la caccia devono essere tenute separate da quelle che servono per uccidere gli uomini, i matti, definiti dagli Urca, “voluti da Dio” devono essere protetti e rispettati, la corruzione è concessa solo se si rivolge contro lo Stato e contro tutti i tipi di sovranità costituita (polizia, zar, dittatori di ogni genere). Gli Urca tatuano le loro storie, molto spesso brutali, sul loro corpo seguendo il notorio rituale del tatuaggio siberiano.
Tralascio le vicende successive perché odio raccontare i film.
Esco dalla sala che sono galvanizzata, il film mi è piaciuto veramente molto, la storia anche, Salvatores non delude e io me ne torno a casa convinta di volermi informare su questi Urca e di scrivere un post per il blog.
Stavo per scrivere uno di quegli articoloni-bufala di portata storica e ringrazio il demone gatto per avermi spinto a qualche ricerchina preliminare: il film, infatti, è stato tratto dall’omonimo romanzo scritto da un certo Nicolai Lilin (uno pseudonimo) che racconterebbe in quelle pagine la storia della sua vita.
Lilin, infatti, è nato a Beder, la quarta città per importanza della Transnistria, nel 1980 e ha vissuto lì fino al 2003 da quando, cioè, si è trasferito in Italia e ha cominciato a scrivere libri.
Ricapitoliamo, per chi non la conoscesse, la storia della Transnistria: si tratta di una regione della Moldavia, ossia una delle ex repubbliche socialiste sovietiche. La Transnistria è una regione autoproclamatasi indipendente nel 1990 e non è riconosciuta né dall’ONU né da nessuno stato sovrano, questo significa che è un territorio isolato e, ovviamente, impregnato di corruzione, mafia e criminalità e, soprattutto, non è proprio proprio famoso per rispettare i diritti dei suoi cittadini. Per non parlare del fatto che, in seguito alla guerra tra la Transnistria e la Moldavia avvenuta nel 1992, la zona di confine tra i due stati è controllata da uno stuolo di soldati russi tenuti a mantenere la pace ma, soprattutto, a difendere le munizioni in loco stanziate lì da tempo immemore dalla 14^ armata dell’URSS.
Dopo la dichiarazione di autonomia de facto e la guerra, la popolazione è migrata massivamente verso occidente e, proprio per questo, l’età media dei cittadini è molto al di sopra di quella pensionabile. Ci si potrebbe proprio scrivere un bel romanzo, che dite?
Ed è un po’ quello che ha fatto Lilin che, una volta trasferitosi in Italia, ha ben pensato di sfruttare l’anima sognatrice di noi italianissimi creduloni e ha infarcito la sua biografia di assurde storie da taverna (carceraria, però…) che hanno inebriato i critici (ahimé, non solo italiani…) e scomodato il plauso del beniamino dei liberi pensatori, Saviano.
Vi avviso, sto per trasformare questo articolo in qualcosa di brutalmente soggettivo:
Saviano è davvero la quintessenza della furberia. Ha capito ben presto, molto prima di Lilin, l’animo groupie del popolazzo italiano. Le sue veritiere storie mitiche su mafie e camorre obnubilano le masse, Saviano ci ha resi gli ombrellonari donchisciotteschi, quelli che, ad agosto, seduti sugli sdraio leggono “Gomorra” e si sentono addosso tutti i mali del mondo e una coscienza civica che ha la stessa possanza del fegato di un’oca prima del mattatoio. La lotta alla mafia si svolge, ormai da qualche tempo, seduti comodamente in poltrona, oppure sorseggiando una bibita di fronte alla tv ma solo se rigorosamente sintonizzati su Rai3 che sennò “sei vittima del mafioso sistema.”.
Saviano è particolarmente orgoglioso della sua crociata e riempie i buchi delle sue giornate, dense solamente di chiacchierate con gli uomini della sua scorta, scrivendo boiate sui giornali: nel 2009, dopo aver letto questo mirabile romanzo, scrisse una recensione-intervista riportata da Repubblica che veicolò l’attenzione di molti sul romanzo (ben presto, diventato un best-seller).
La cosa scioccante dell’articolo è tutta dentro a questo paragrafo che vi riporto:
“Sono regole (quelle degli Urka, ndr) che seppur calate in un contesto discutibile hanno profonde radici morali. In Italia, fino a qualche decennio fa, per le mafie regole come non uccidere bambini, non trattare e vendere droga, non assumerne, ora sistematicamente disattese, nascevano dalla necessità di cercare quel consenso nella popolazione che adesso appare dovuto, che ora sono il timore e la forza ad assicurare. “Non è il crimine la nostra forza – diceva il nonno a Nicolai – ma il consenso ed il bene che la gente ci vuole”. Lilin precisa: “Sono regole di giustizia non scritte, come la divisione equa dei beni, l’aiuto reciproco e la difesa dei più deboli”. E continua con una nota autoironica che aggiunge credibilità al suo racconto: “Se nasci in quella realtà non puoi certo divenire Ghandi ma almeno vivi in una società che ha regole e diritti, non solo soprusi dove vince il più corrotto e il più forte come tra i lupi”.
Adesso ve lo posso anche confessare: Lilin scrive panzane.
Potete tirare un sospiro di sollievo e smettere di credere che in Russia gli uomini siano al 90% cannibali e che il restante 10% possieda un kalashnikov e beva vodka dall’età di otto anni.
Ma continuate a sospirare per il popolo italiano che, a quanto si evince dalle parole di Saviano, se la gode un mondo ad osannare un connivente della Organizacija (anche se primordiale), uno che millanta di aver ucciso, di essere stato due volte in galera (e no, in Transnistria non ci sono i nostri ferocissimi giudici rossi…era proprio tutta colpa sua.) di essere stato cresciuto da un capoclan che si definiva un “criminale onesto.”.
Saviano nell’articolo dirà varie volte che “onestà” è la parola più pronunciata da Lilin: forse, perché è probabilmente quella che più gli manca dal cuore.
Quali sarebbero le radici morali della criminalità? Per quanto mi riguarda il contesto criminale non è qualcosa di “discutibile” ma di “indiscutibile”. Per quanto mi riguarda il fatto che i mafiosi dei tempi tanto amati da Saviano non si strafacessero di coca o non praticassero la compravendita di organi non li rendeva più onesti ma semmai “meno criminali”.
Esistono ossimori ambigui che hanno ben poco di poetico: tra questi c’è l’espressione “criminale onesto”, assolutamente nociva per qualsiasi società, tutt’al più per la nostra, quella italiana, inquinata anche troppo spesso dalla logica dell’auto-giustificazione.
Saviano è stato solo il primo, ahimé, ad alzare un altare alla causa degli omicidi per giusta causa degli Urka liliniani: nessuno, nei 20 paesi nei quali il libro è stato tradotto, si è chiesto quale fosse questa giusta causa.
Ma a questo punto andiamo alle controversie: l’autore, ai tempi, chiese espressamente che il suo romanzo non venisse tradotto in russo. Una richiesta strana, non vi pare? Solitamente sono le autorità russe ad ostacolare i libri delle voci dissidenti autoctone, si pensi anche solo al caso di Pasternak che ebbe non pochi problemi a veder il proprio romanzo diffuso in terra natia. Non ero mai incappata in uno scrittore che oltre a scrivere (e non per necessità) in una lingua diversa dalla sua (Lilin, infatti, scrive in italiano. Un italiano a dir poco mirabile per uno che vive qui solo da dieci anni.) non vuole nemmeno trasmettere la propria testimonianza al popolo di cui fa parte.
Alcuni giornalisti hanno sentito il fetore fandoniesco che esalava da questa storia e hanno cominciato a fare delle ricerche: ha iniziato il Fatto Quotidiano, Antonio Armando, infatti, nel 2011 riportò la cronostoria della colossale bufala firmata Lilin, confermata anche da altri giornalisti russi come Anna Zafesova che lavora per la Stampa e Andrea Riscassi che ha riportato nel sito della associazione “Anna Viva” dedicata alla memoria della giornalista Anna Politkovskaja, un alterco tra lo scrittore e una donna russa che lo ha sbugiardato durante un incontro per la promozione del suo libro.
L’antropologo Bobick ha, poi, smentito il fatto che gli Urca siano una etnia, come viene a più riprese riportato nel romanzo, e ha, anzi, affermato che non c’è mai stata nessuna specificità siberiana nel crimine organizzato russo e che, oltretutto, le deportazioni staliniane seguivano il flusso opposto a quello riportato da Lilin, ossia le persone venivano trasferite forzatamente IN Siberia e non DALLA Siberia. Oltretutto la città di Bender, da Lilin definita come un covo di criminali e di oscure crudeltà, sarebbe, in realtà, molto più tranquilla di Tiraspol, altra città della Transnistria, anche se la realtà dei fatti riporta esattamente il contrario.
Ma, fino a questo punto, le confutazioni sembrerebbero i soliti tentativi di distruggere carriere operate da critici e giornalisti invidiosi.
Proseguendo nella ricerca, ho trovato la testimonianza di un’altra russa, tale Elena Černenko, presumibilmente una giornalista che scrive, dal sito Memorial Italia, quanto la storia di Lilin, venduta come vera, sia, in realtà, una fanfiction, una stronzata atavica che dimostra quanto la signora Rowling abbia da invidiare all’autore.
La Černenko si stupisce della poca avvedutezza dei critici letterari che non si sono lasciati turbare da molte, troppe cose: per esempio, dall’assurdamente densa biografia del ribaldo Lilin che, a soli trent’anni, avrebbe già un curriculum da far invidia ad un Highlander:
“Non ha suscitato particolari sospetti neppure la troppo densa biografia dell’autore. Se si uniscono i dati del libro di Lilin, delle sue interviste sulla stampa occidentale e dei suoi interventi alle fiere librarie, prima dei 23 anni l’autore ha fatto in tempo a: finire due volte in carcere in Transnistria ed essere processato in Russia, militare per tre anni come cecchino in Cecenia e un altro paio d’anni in Israele, Iraq e Afghanistan. A 24 anni ha fatto il pescatore su una nave in Irlanda, poi si è trasferito in Italia, dove si è sposato, ha aperto un salone di tatuaggi, ha scritto un bestseller e per poco non è diventato vittima di un attentato con motivazioni politiche. Oggi Nikolai Lilin ha 30 anni, ha un suo fan club e ragiona seriamente sul perché Anthony Hopkins non sia adatto alla parte di protagonista della versione cinematografica del suo libro.”.
Il secondo libro di Lilin, dal titolo “Caduta libera”, riporta le avventure capitate all’autore mentre era in Cecenia, durante la seconda delle due sanguinosissime guerre: nessuno si è chiesto, però, come mai un moldavo fosse stato costretto dal governo russo a fare la leva in Cecenia e nessuno si è nemmeno domandato il motivo per il quale le fonti del ministero della Difesa russo affermino che in Cecenia non ci sia mai stato un soldato di nome Lilin oppure Veržbickij (ossia, il suo nome vero).
Quando lo scrittore viene incalzato sulla presunta non veridicità delle sue storie, Lilin tergiversa, dice di non aver “mai detto che fosse vero.” ma l’intervista di Saviano ci fa capire ben altro:
“Io ho ucciso, Roberto, ho ucciso un bel po’ di persone. Ma non sento dolore, o meglio sento che ero costretto a farlo, ero un militare in Cecenia, e dovevo sparare. Ho ucciso e ho sentito la morte tante volte vicina a me. Ma anche su questo la mia gente mi ha insegnato a capire la morte, a conoscerla e a non sentirla come qualcosa di strano. Qui nessuno vuole morire. Io se voglio la vita so che devo volere anche la morte”.
(e tralasciamo quanto sia vergognoso pubblicare la testimonianza di un individuo che non solo ostenta assassinii ma che, soprattutto, lo fa mentendo sugli stessi. Cosa ne è dell’umanità di un individuo quando si sente pronto a fingersi omicida e criminale pur di avere i propri putridi 15 minuti di celebrità? Che ne è dell’onore e dell’onestà, ossia, delle parole d’ordine del presunto ultimo discendente della dinastia Urca siberiana? E che ne è della credibilità di Saviano? Di uno che rimpiange la mafia del bon ton e del savoir faire, uno che vede onore dove l’onore non esiste? Il cancro dell’Italia risiede proprio in questo offuscamento del confine netto tra Bene e Male. Sì, perché di confine netto si tratta, con buona pace di Saviano.)
Ma non è finita, il bello viene adesso: mi limito a citare perché la lettura di questo articolo è talmente sconvolgente che va appresa direttamente dalla fonte.
“Peccato che il film si dovrà girare non in Transnistria, ma in Lituania e in Italia. Altrimenti bisognerebbe spiegare agli abitanti di Bender, che non hanno letto l’opera di Nikolai Lilin, che la loro città è governata dai discendenti dei Robin Hood siberiani deportati da Stalin. Lui, fra l’altro, a Bender lo conoscono bene. A dire il vero sotto un altro nome: Veržbickij.
“Gli piaceva inventare storie di ogni genere, nessuno ci faceva troppo caso, un semplice contaballe, solo le ragazze credevano alle sue favole, – ha confidato a Ogonëk un vecchio conoscente di Nikolai Veržbickij, il web designer Igor’ Popušnoj. L’ho trovato in uno degli internet forum della città, dove si discuteva di Educazione siberiana. – Molti qui si sono perfino rallegrati, quando hanno saputo che era diventato uno scrittore di successo. Vero è che quando hanno saputo di cosa tratta il libro, sono rimasti molto perplessi. La nostra è una città normalissima. Direi perfino tranquilla. Non so dove è andato a pescare quegli urka. Almeno avesse scritto fra parentesi che era tutta una favola.”
Secondo le parole di Igor’, che lo conosce da quando aveva 19 anni, Nikolai non è mai stato in carcere né nell’esercito. E si guadagnava da vivere lavorando nelle forze dell’ordine. “Mi ha mostrato personalmente il suo certificato di poliziotto e l’arma d’ordinanza”, ricorda Igor’.
Un altro conoscente di Nikolai Veržbickij, il pubblicitario Viktor Dadeckij, dice che gli piacevano molto i film d’azione. “Alla fine degli anni ’90 avevo un videonoleggio a Bender, Nikolai veniva regolarmente a prendere i film. All’epoca i suoi genitori lavoravano già all’estero. Il padre in un salumificio in Grecia, la madre in Italia. Fu da lì che lei gli inviò una macchina per tatuare. Ma quello che Nikolai ha scritto di non so quale clan mafioso siberiano di Bender è naturalmente tutto un’invenzione. A modo suo non è una cattiva persona, ma perché diffonde certi orrori sulla nostra città?” s’indigna Viktor.
“Si vede che gli hanno suggerito che quel tema (Stalin, la lotta contro i comunisti e la mafia russa) si vende bene in Occidente. Ma per quel che ha scritto sul generale Lebed’ da noi potrebbe anche prendersi un pugno in faccia. Lebed’ da noi è un eroe nazionale”, dice un terzo conoscente di Nikolai Veržbickij, il fotografo di Bender Denis Poronok. Secondo lui in Educazione siberiana non ci sono più fatti veri che in Harry Potter.
Ho chiesto a Nikolai Lilin-Veržbickij che cosa pensa dei commenti dei suoi ex amici. Lui ritiene che siano invidiosi: “Si sentono offesi e inferiori. Io sono riuscito ad andarmene e a ottenere qualcosa, e loro no.”. Però chiacchierando con me – a differenza che nelle interviste ai giornalisti occidentali – ha sottolineato ripetutamente che il suo libro non è un’autobiografia e che a collocarla come tale sono i suoi editori occidentali. Mentre lui non c’entra niente.
Intanto recentemente una delle migliori case editrici italiane, Einaudi, ha pubblicato il suo secondo libro. S’intitola Caduta libera. È stato già tradotto in inglese, francese e tedesco, presto ci saranno altre traduzioni. I recensori sono entusiasti. “Le memorie di Lilin tolgono semplicemente il respiro”, ha espresso l’opinione comune il Mail on Sunday. E anche Caduta libera è spacciato per autobiografia. Gli esperti occidentali nelle loro recensioni sottolineano soprattutto che si tratta di “memorie di prima mano”, “un’opportunità unica di vedere la guerra cecena con gli occhi di chi vi ha partecipato”, “un resoconto onesto e spietato di un soldato russo delle forze speciali”.
L’autore insiste che il libro è basato sulla sua esperienza personale di combattente in Cecenia. Nell’intervista a Ogonëk ha detto di aver partecipato alla seconda guerra cecena, ma si è rifiutato di dare dettagli. Del resto, l’autore anche questa volta ha preso le sue precauzioni. Benché assicuri di essere stato richiamato con la forza direttamente da Bender nell’esercito russo e di aver combattuto in Cecenia, sottolinea in modo particolare che il suo secondo libro “non parla della Cecenia”. Dunque, i fatti da lui descritti potevano accadere in qualsiasi altra guerra. In Caduta libera di fatto non ci sono date, nomi o descrizioni di fatti concreti, in compenso abbondano “cervelli che scorrono sull’asfalto”, “ceceni scotennati vivi” e altri dettagli terrificanti. I critici occidentali predicono al secondo libro di Nikolai Lilin un successo ancor maggiore del primo.”
Salvatores aveva detto che non avrebbero potuto girare in Transnistria a causa dell’alta pericolosità della zona. Quindi, o Salvatores è un ingenuo contadinotto o è un bugiardo.
Propendo per la seconda.
Ma, se su Salvatores ho ancora dei dubbi, su Lilin li ho persi tutti e, anzi, se fosse in mio potere, farei anche di tutto per togliergli l’immeritato permesso di soggiorno (oltre che l’aura da gran scrittore di cose serie, anzi, serissime). Questo è il genere di persone che ammala l’Italia: la terra che non ha mai avuto bisogno di impostori e, adesso, meno che mai.
Su un numero del rotocalco “Oggi” di qualche anno fa compariva una foto di Lilin, armato fino ai denti e coperto da un passamontagna, la didascalia recitava “Condannato ad uccidere”: ma nessuna vittima della guerra mostrerebbe con così tanto malcelato orgoglio gli strumenti di morte con cui l’hanno costretto a macchiarsi del più terribile dei misfatti, ossia rubare le vite degli altri.
Non leggeteli i libri di Lilin, non andate al cinema a vedere “Educazione Siberiana”, non avallate questo business di bugie, non prestate fede al patto di sospensione dell’incredulità: Lilin l’ha palesemente tradito.
L’unica cosa positiva di questa faccenda è che Saviano si starà vergognando e non poco.
O, almeno, spero.