Quando sono uscita dall’università avevo con me una valigia di sogni, due titoli accademici (laurea in Lettere Moderne e in Comunicazione) e un bel po’ di voglia di mettermi in gioco.
Avevo già maturato diverse esperienze curriculari che mi erano servite per ottenere i crediti formativi necessari al conseguimento della laurea e non avevo paura di affacciarmi al mondo del lavoro.
Sono stata fortunata, dopo pochi mesi di inoccupazione, ho trovato fin da subito un lavoro: avevo studiato per diventare una web marketing specialist e il mio inquadramento all’interno di una web agency mi sembrava la giusta consacrazione.
Beh, non è stato così.
Ho cominciato in punta di piedi, grazie al mio blog (ancora grazie LaPersonaggia!), i miei due futuri titolari lo avevano letto e trovato strabiliante, mi hanno assunto, dopo un mese di prova a 150 vergognosi euro,, tramite l’espediente Garanzia Giovani: un tipo di contratto che dovrebbe aiutare l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro ma che in realtà offre sgravi fiscali alle aziende e ben pochi soldi ai novelli assunti.
Ho recepito in sei mesi di lavoro 960 euro.
Fa ridere, vero? Lavoravo otto ore al giorno con una pausa di un’ora nella quale non potevo tornare a casa a causa della distanza. In compenso, prendevo un treno per andare e uno per tornare, rimanendo, quindi, via dalla mia dimora per circa undici ore effettive.
La mia vita finiva e iniziava in quel lavoro, in quell’ufficio e dopo un periodo iniziale di giovanile e ingenuo entusiasmo mi sono resa conto che non c’era spazio per me in quella web agency. La mia titolare mi aveva detto fin dal primo giorno che no, non era capace di delegare e così io mi sono ritrovata, dopo poco, a fissare lo schermo del mio vecchio, vecchissimo PC portatile (ah, tutti lì in ufficio erano dotati di Imac di ultima generazione) vergognandomi di farmi gli affari miei e fingendo di sembrare affaccendata nella speranza di poter vedere il mio misero contratto rinnovarsi, magari, per altri sei mesi.
Dell’inedia di quei giorni ricordo solo la mia rabbia cieca per essermi ritrovata così, dopo anni e anni di studio e di successi, catapultata in una realtà che non era come me la aspettavo. Una realtà in cui mi avevano abbandonata a me stessa nonostante lo stage sia per legge un progetto formativo e, nonostante, quotidianamente, chiedessi qualcosa da poter fare per aiutare.
Il gran finale di questa vicenda ve lo potete immaginare: non hanno rinnovato il contratto.
Ricordo l’ultimo giorno di aver portato anche delle brioches e di essermi alzata dalla mia sedia alle diciotto con un senso di liberazione totale, anche se ero disoccupata, anche se il mio futuro non era per nulla positivo, povera e senza un soldo com’ero, ma mi sentivo libera, affrancata.
Beh, la mail da parte del titolare non ha tardato ad arrivare: non avevo salutato abbastanza calorosamente e, anzi, mi ero permessa persino di fregiarmi del titolo di social media manager su Linkedin, nonostante fossi, parole sue, “solo una stagista”.
Non mi sono data per vinta e ho continuato ad inviare curricula finché non è arrivata la mia seconda occasione.
Mi hanno assunto, sempre tramite stage, in una grossa onlus di cui non farò il nome per ricoprire il ruolo di esperta di social media.
Dovevo curare la pagina fb dell’azienda e, poi? Beh, poi, basta. Non avevano altro da farmi fare se non relegarmi vicino al telefono a rispondere.
Ben presto, i colleghi hanno cominciato a pensare che se non sfruttavano la stagista probabilmente sarebbero passati per polli, ergo, non hanno mai più alzato il ricevitore. Ho cominciato per cui a passare le mie nove ore di lavoro a rispondere al telefono, un telefono che trillava di continuo senza la benché minima preparazione su quello di cui si occupava la onlus, dequalificata nei miei studi e ridotta a segretaria di ufficio.
Tutto questo al favoloso stipendio di 400 euro mensili.
Beh, sì, avevo fatto un miserabile salto di qualità, almeno mi pagavano al mese.
Alla fine dei cinque mesi di stage, provavo odio nei confronti della Presidente e dei miei colleghi, provavo odio nei confronti della vita ingiusta con me e con tutti gli altri giovani ridotti come me e quando non hanno rinnovato il contratto, come ben immaginavo, ho tirato un sospiro di sollievo.
Nuovo lavoro, nuovo giro in giostra, stavolta un’altra web agency specializzata in software, stavolta 500 euro.
Tutto, però, dentro di me era cambiato: la mia testa mi diceva che non era possibile, che non si poteva davvero ricevere così poco per dare così tanto, così, lo ammetto, fin dal primo giorno ho cercato altro, fin dal primo giorno ho voluto fuggire.
Vi chiederete se ho trovato di meglio, se ora sono felice e io vi dico che ho un nuovo lavoro, che sono sempre in stage che no, il copione non è cambiato.
Non mi lamento dei soldi, non solo di quello, dico solo che i lavoratori gratificati rendono molto di più e che è da vigliacchi pagare i giovani così poco e sfruttarli così tanto solo perché la legge lo permette.
Questa legge che ammazza il lavoro e degrada i giovani ogni giorno, questa stessa legge che pensa di aiutare con stage, tirocini formativi, contratti di collaborazione e che, invece, aiuta solo chi non avrebbe bisogno di nulla perché ha soldi, una posizione e, molto spesso, tutto questo deriva o dal paparino oppure da un grosso investimento permesso da una situazione economica già rosea.
Sono pochi i giovani che attualmente possono dire di avere un contratto indeterminato e, soprattutto, sono pochi i giovani LAUREATI ad avere una situazione stabile a livello lavorativo.
Chiediamoci in che mondo viviamo, chiediamoci perché in Italia vengono premiati i sottoculturati come se fosse una colpa aver studiato, come se fosse una colpa aver impiegato tempo e risorse nell’erudizione, nel tentativo di uscire dall’ignoranza che attualmente devasta l’Italia, che permea in ogni suo ambito perché, e non chiedetemi il motivo, quelli che ce la fanno sono sempre i più stupidi e inutili esemplari di essere umano.
Parlo a voi, imprenditori, proprietari di aziende floride o meno, che non sborsate un centesimo, che sottopagate i vostri dipendenti ma volete anche tutto e subito. Volete l’esperienza, le capacità, le conoscenze ma non volete pagarle perciò assumete giovani disperati che accettano tutte le condizioni pur di non stare a casa ed essere bollati dell’umiliante titolo di disoccupati.
La generazione mille euro non esiste più, è stata sostituita dalla generazione seicento euro, il massimo a cui si può ambire per un contratto di stage.
Vivere di lavoro e vivere senza prospettive, senza una retribuzione congrua, senza niente di niente equivale alla morte della felicità, dei sogni, del futuro.
“Continuate a cercare e non accontentatevi” diceva Steve Jobs e io l’ho sempre ascoltato, però, in Italia, forse, non è la scelta giusta. Qualunque cosa si troverà sarà solamente un altro stage, qualsiasi posizione si raggiungerà sarà corredata da mortificazioni e, così, fino alla fine dei nostri giorni.
Per me, poi, è ancora più difficile: scappare non posso. Vivo delle mie parole e della mia lingua madre e in un altro Paese, con un’altra lingua sconosciuta, non avrei di certo le già attualmente misere possibilità di essere assunta.
Perciò, resterò qui. Lotterò fino all’ultimo per raggiungere ciò che mi merito. Una lotta vuota, ahimé, in cui parto già sconfitta perché, ragazzi, ricordatevelo, non siamo sbagliati, non siamo noi impreparati, incapaci ma sono loro avidi. Perciò la prossima volta che vi diranno “arrivederci e grazie” alla fine del vostro stage sentitevi forti, sentitevi liberi e sentitevi nel giusto.
L’Italia è il problema, non siete voi.