Troppe parole. Usiamo troppe parole per innumerevoli fini diversi l’uno dall’altro.
È questo il messaggio che Scarpa arriva a lanciarci.
La parola. Protagonista assoluta dell’intero romanzo. Studiata, sfruttata, stirata, stracciata, spogliata, consumata in tutte le sue sfaccettature.
Abbiamo colto il suo potere sprigionarsi attraverso ogni pagina, l’abbiamo sentito penetrare nel nostro animo recalcitrante, spaventato di fronte ai frequenti giochi della punteggiatura, allo strepitio delle sillabe, al divertito sproloquio dei termini.
Le frasi concitate e tenere di Leonardo ci permettono di cogliere, per contrasto, la rude bontà di Tiziano, le parole non dette da Silvana rappresentano il fulcro intorno al quale ruotano tutti i personaggi e anche ciò che permetterà, infine, di cogliere il vero significato delle cose fondamentali.
La parola ha una voce, un determinato carattere: sbeffeggia Leonardo, poi lo rincuora, si sdoppia, si disintegra per riciclarsi nuovamente confondendo gli oggetti, i sentimenti, il dolore.
“Ora che ho iniziato, non sono sicuro di niente. Non so come scriverti, con quale tono. Cerco di usare meno parole che posso, per non frastornarti. Se scrivo parolacce, ti infastidisco. Se non le scrivo, passo per ipocrita. Se faccio battute, per ruffiano. [. . .] Qualunque cosa si fa, si sbaglia. Da un certo punto di vista è persino consolante. Non farai mai la cosa giusta, mi dico, sappilo fin dal principio, quindi mettili il cuore in pace e fai. Fa’, senza tante storie.”
Quali parole usare per spiegare la vita al proprio figlio? Le mille facce colorate delle nostre frasi non ci possono assicurare nessun risultato, nessuna via esatta.
Leonardo confonde da subito la realtà con la finzione: diventa padre a tutti gli effetti di quei fogli di carta stampati di fresco e, come una partoriente, coglie il calore diffuso dal laser della stampante come il palpito di una nuova vita.
L’inchiostro nero fuoriesce da lui come liquido amniotico: può sentirsi partecipe, può iniziare ad essere genitore partendo da questo rito, non sa, però, che anche per lui arriverà un travaglio e, questa volta, in tutti i sensi.
“Le parole che nominano le cose sessuali sono tutte inadeguate. O troppo triviali, o troppo eufemistiche, o troppo tecniche. Il sesso sta sempre da un’altra parte rispetto al suo nome. Si prova malinconia quando se ne parla, perché gli si fa torto, il discorso che lo descrive non è mai appropriato. Non si riesce a darne conto con le parole in misura accettabile. Ma a ben vedere questo è molto bello. la dismisura tra il sesso e le parole dimostra la sua imprendibilità, la sua eccedenza, la sua inesauribilità. Il sesso si sporge oltre il linguaggio, è più grande, più vasto. Quando finalmente troveremo le parole giuste per nominarlo, e il discorso coinciderà perfettamente con i suoi contorni, allora non desidereremo più, non ci innamoreremo più, non faremo più figli.”
I figli non comprendono quasi mai i loro genitori.
Fraintendono, travisano, s’indignano, s’irrigidiscono.
Tutto questo è calcolato: c’è un periodo, nemmeno poi tanto breve, in cui i figli sono programmati per odiare chi li ha messi al mondo.
Anticipare questo, comprenderlo già prima è un atto di coraggio, di una lucidità disarmante.
Scrivere al proprio figlio come ad un amico, come ad un corrispondente che viva in un altro Paese è l’impresa più ardua del mondo: come spiegare tutti i meccanismi infernali che regolano l’universo senza deviare, deludere, tradire la realtà?
Nessuna parola può ricomporre l’intero puzzle perché manca l’immagine di riferimento: siamo dispersi senz’ordine e impossibilitati ad afferrarlo.
I perché continui e curiosi dei bambini ci irritano, ci infastidiscono: come riuscire ad ammettere che troppe cose non hanno perché o se ce l’hanno dobbiamo far finta di non accorgercene per evitarne il dolore?
Parole che sono proiettili stanchi, fermi a metà traiettoria: colpiranno ancora tra quattordici anni oppure stiamo per creare una generazione amorfa, spenta, pronta ad usare le parole solo per lo stretto indispensabile, per i gesti di cortesia ma non per esprimere emozioni, riflessioni, sentimenti?
“Questa mia frase vestita di parole consunte si metterà seduta a un angolo di strada, mentre tutto intorno passeranno bighe e astronavi, pterodattili e postiglioni, la mia povera frase tenderà la mano facendo la carità: «Una letta datemi una letta mio buon signore, -implorerà,- vi chiedo soltanto una letta! Fatemi la carità di una lettura!»”
tiziano scarpa
Leonardo immagina con orrore un improbabile futuro ultraprogredito e bionico in cui non sono più le parole a comandare ma la tecnologia: gli esseri umani hanno totalmente dimenticato e accantonato il loro potere.
Flebili e leggere come farfalle svolazzano intorno ai tanti mostri generati dall’onnipotenza scientifica.
Leonardo non vuole nemmeno immaginare cosa possa significare l’assenza della comunicazione: vede nell’anticamera dell’ospedale una coppia litigare in un’altra lingua e la ringrazia, l’ammira per non avergli buttato addosso tutto il suo disappunto, la sua rabbia. Per lui la parola ha la stessa potenza del mare: può farti dimenticare di respirare, può colpirti con la sua onda, può spegnere qualsiasi fuoco.
E’ alla fine, però, che Leonardo si accorge di quanta vacuità si nasconda dietro tutti i suoi elucubranti discorsi: scrivendo di tutto ha riempito anche gli spazi vuoti che dovevano essere riempiti dalle azioni, ha amato suo figlio dentro se stesso, ha chiuso il suo affetto, lo ha arginato all’interno di una pagina bianca, si è dimenticato l’azione, la reale consistenza del ruolo di padre.
Solo quando getta quei fogli e smette di vaneggiare sulla carta Leonardo diventa veramente un padre.
Nessun genitore può anticipare i desideri, le domande del figlio senza rimanere incastrato tra gli ostacoli dell’esistenza.
Le parole da amiche, compagne di avventura, si sono tramutate in ospiti sgraditi, cappi troppo stretti intorno al collo, manette, legacci che imprigionano il suo spirito,  lo fanno sembrare ridicolo.
I tanti linguaggi che Leonardo aveva sfoderato in precedenza ora assumono tutta la loro pochezza di fronte alla tragicomica ironia della realtà.
Rimangono solamente un padre e un figlio: tutte le parole arriveranno dopo e, se ci sarà amore, troveranno subito una chiave per riuscire ad essere lette.

Per la trama:
http://www.einaudi.it/speciali/Tiziano-Scarpa-Le-cose-fondamentali