Purtroppo mia madre non saprà mai dell’esistenza di questo blog.
E tutto perché qualche mese fa mi sono incapricciata di vedere un film di quelli che gli espertoni del settore chiamano “hard d’autore”.
D’altronde, quale donna italiana al mondo non vorrebbe vedere Rocco Siffredi recitare? Dico “recitare” e non “eiaculare casualmente in qualche orifizio”…
Quelle sono cose che a noi donne non interessano: come ho sentito dire da qualche parte, le donne hanno il terribile vizietto di guardare un film porno fino alla fine, perché sperano sempre che, nell’epilogo, lui sposi lei.
Personalmente l’accoppiamento fine a se stesso non mi piace nemmeno sui documentari di Licia Colò (nemmeno il matrimonio, ma di questo parlerò un’altra volta…).
Il cinema pornografico produce in me un profondo senso di straniamento perché unisce l’iperrealismo al surrealismo; è qualcosa di grottesco, senza trama, senza la benché minima utilità sociale (eccettuata una, se così è possibile e lecito definire il “nerdoso” onanismo maschile).
Il film di cui parlo è “Romance”, una pellicola del 1999 girata dalla controversissima regista/sceneggiatrice Catherine Breillat (anno di nascita 1948). La trama è oltremodo intricata e noiosa da riportare: Marie è innamorata di Paul, un uomo che a definirlo “impotente” gli si farebbe un complimento; affranta dalla situazione, decide di lanciarsi all’avventura. Una sera incontra proprio Rocco Siffredi che nel film interpreta un “consolabile” vedovo di nome Paolo.
Non succede solo questo: c’è anche una specie di stupro sulle scale, un incontro con un professore latin lover e dedito alle BDSM, ma io a raccontare le trame non sono brava e i film devono essere visti per essere capiti.
Probabilmente il film ha suscitato tanto clamore proprio per la scena di sesso tra la protagonista Caroline Ducey e il Roccone nazionale (specifichiamolo: non simulata): certo, devo ammettere che il dio del porno italiano vestito solo di un profilattico (a dir poco, come potrei dire?, attillato…) è una visione che lascia attoniti, ma la scena in sé e per sé non è poi così oscena (al massimo è un suicidio sociale per tutti quegli uomini che millantano mirabolanti imprese e che di fronte a “Rocco e il suo fratello” farebbero bene solo a zittirsi).
Il film ha, però, notevoli aspetti fantascientifici: la protagonista non fa altro che discettare tutto il film in materia di sessualità, femminismo, relazioni antropologiche mentre se ne sta beatamente a novanta gradi.
La cosa potrebbe apparire anche solo ridicola se non fosse che quello che dice è abbastanza intelligente: si parla di difficoltà dell’espressione del proprio Io e dei propri sentimenti, del senso tutto femminile di inutilità nei rapporti sentimentali e della tanto discussa ninfomania.
Ecco, questo è uno spunto interessante: non credo che tutti sappiano che la ninfomania, che inizialmente venne considerata una perversione sessuale, dal 1992 non viene più riconosciuta come una patologia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Si parla di ipersessualismo ma io parlerei piuttosto di ipersentimentalismo o cecità emozionale: ossia, la costante e caparbia ricerca di quello che si desidera nei luoghi in cui non lo si troverà mai.
La mia opinione è che la parola ninfomania sia stata creata da un uomo e che venga utilizzata soprattutto da uomini in senso dispregiativo: noi diciamo loro “maniaci”, loro ci dicono “ninfomani.”
Peccato non si tratti esattamente della stessa cosa.
Nel film la presenza di un travagliato Io femminile che ha perso ogni punto di riferimento è palpabile: Marie ama un uomo che non la vuole e, così, prova a cercare da qualche altra parte quello che le manca, ovviamente sbagliando, eppure la sensazione è che, in certi casi, in amore, soprattutto, sbagliare sia necessario, sia d’obbligo per poter andare avanti.
Le passioni, i tormenti delle donne vengono analizzati con precisione e meticolosità: le donne sono quello che sono e, purtroppo, sono condannate ad unirsi agli uomini, destinate all’ardua impresa di convertire alla loro sensibilità menti diverse, corpi estranei. In questo modo “Romance”, scandagliando gli abissi che si annidano tra i desideri delle donne, diventa una seduta psicanalitica per immagini: quello che ne ricaviamo è che non esiste nulla di malato quando si tratta di amore, nemmeno dare fuoco all’uomo che si ama (ecco, vi ho svelato l’epilogo, mannaggia!)
L’intento della Breillat è di dare “una nuova definizione delle donne e dei loro desideri” e io penso che, in maniera talvolta esagerata, ridicola e grottesca ma anche un po’ genuina, spesso ci riesca. La New French Extremity sembra aver sdoganato, così, le barriere che dividevano cinema “perbene” da bislacco cinema “Made in Romania”.
E io, nel mio piccolo, ho sdoganato gli inutili sensi di colpa che mi prendevano alla visione dei bollini rossi sui film Mediaset.