“I miei occhi hanno visto la gloria della venuta del Signore:
Egli calpesta la vigna dove è conservata l’uva dell’ira;
Ha rilasciato il fatidico fulmine dalla sua terribile, rapida spada:
La sua verità è in arrivo.”
J. Ward Howe

Introduzione
Non avevo mai letto nessun romanzo ambientato durante la grande depressione americana (che iniziò nel fatidico 1929) e, in ogni caso, Steinbeck mi aveva sempre lasciato emozioni tiepide (“Uomini e topi”, per esempio, non mi aveva entusiasmato affatto).
Non è stato così con “Furore”, fin dalla prima pagina ho capito che mi trovavo di fronte a un grande romanzo americano, la cui lettura era davvero necessaria ed importante.
Un po’ di trama
L’epopea della famiglia Joad, guidata dalla figura stoica della madre, che, a causa dell’espropriazione dei terreni agricoli di famiglia imposta dalle banche che non fanno più credito ai braccianti, parte dall’Oklahoma verso la California, è la storia della grande famiglia americana e, soprattutto, del SOGNO americano in cui tutti noi, anche europei, abbiamo tanto creduto da renderlo quasi un modo di vedere la vita.

Accompagnati solo da un fedele ma assai malmesso autocarro, la famiglia Joad abbandona tutto, i campi e la casa su cui sono passati sopra i trattori e parte per la California attraversando il deserto, tenendo bene in mente quello che è scritto sui tanti volantini arrivati tra le loro mani: “In California cercano braccianti, c’è lavoro”.
La verità amara è che migliaia di famiglie del Midwest sono partite con loro e nella fruttifera terra di California si preferisce far marcire il raccolto di frutta e verdura piuttosto di svenderlo a poco prezzo. Si chiamano speculazioni finanziarie, baby!
“Mamma non hai dei brutti presentimenti? Non ti fa paura, andare in un posto che non conosci?”
Gli occhi della mamma si fecero pensosi ma dolci.
“Paura? Un poco. Ma poco. Non voglio pensare, preferisco aspettare. Quel che ci sarà da fare lo farò…”
(Furore – J. Steinbeck)
In California, i mezzadri del Midwest vengono chiamati Okie e vengono rifiutati da tutta la società che li vede per quel che sono: poveri, affamati, pronti a tutto per lavorare, cenciosi, sporchi e disperati.
I Joad conosceranno la fame ma anche la collaborazione tra le famiglie che, figlie della stessa miseria, divideranno gioie e dolori fino alla fine.
Un po’ di opinioni random
Le figure di spicco del romanzo sono quelle di Ma’, rappresentata come una matriarca che non molla mai e che tiene sù le fragili fondamenta di una famiglia che ha perso tutto, anche il senso dell’andare, e Tom, uscito di galera sulla parola dopo un omicidio, erede di una dinastia dilaniata dallo stra potere dei grandi proprietari terrieri che, alla fine, comprende il senso della sua vita, ossia non di accettare di venire pagato venti centesimi in meno pur di lavorare ma di lottare affinchè tutti vengano pagati il giusto perchè, parafrasando quello che afferma in un confronto finale con la madre, “siamo tutti pezzetti di una sola grande anima e dobbiamo farcela insieme.”

La disgrazia di migliaia di famiglie viene affrescata da Steinbeck con molto buonismo, ovviamente, tanto che il suo romanzo venne molto criticato per essere una mistificazione totale della realtà dei mezzadri nel periodo della grande depressione: non era così nera la situazione, insomma, hanno ripetuto molti esperti e io penso che non fosse nemmeno così facile, tra poveri, trovare così tanta solidarietà e bontà.
Sto imparando una cosa importante,” disse. “La sto imparando ogni momento, tutt’i giorni. Quando stai male o magari hai bisogno o sei nei guai… va’ dalla povera gente. Soltanto loro ti danno una mano… soltanto loro.” (Furore – J. Steinbeck)
Forse perchè sono reduce dalla lettura de “I miserabili”, libro in cui chi ha poco cerca di arraffare il più possibile a scapito degli altri, forse perchè, per esperienze di vita, ho sempre pensato alla povertà, che non ho mai vissuto in prima persona, come a una lotta tra disperati, pronti a tutto per rubarsi un pezzo di pane, però, io non credo che l’idillio di gente che schiumava di rabbia perché veniva pagata sotto al consentito e che doveva accaparrarsi per prima il raccolto di frutta e cotone, fosse così meraviglioso e pieno di buoni intenti.
“Forse possiamo cominciare daccapo, in una terra nuova e ricca – in California, dove cresce la frutta. Cominceremo da capo. Ma noi non possiamo cominciare. Solo i neonati possono cominciare. Tu e io… be’, noi siamo quello ch’è stato. La rabbia di un momento, le mille immagini, questo siamo. Questa terra, questa terra rossa, è noi; e gli anni di carestia e gli anni di polvere e gli anni d’inondazione siamo noi. Non possiamo cominciare daccapo. L’amarezza che abbiamo venduto al compratore di scarti… lui se l’è pigliata, certo, ma noi ce l’abbiamo ancora. E quando gli uomini del padrone ci hanno detto di andarcene, questo siamo; e quando il trattore ha buttato giù la nostra casa, questo siamo fino alla morte.” (Furore – J. Steinbeck)

Steinbeck… comunista?
Steinbeck venne accusato più e più volte di essere un comunista e, probabilmente, un po’ lo era: nonostante questa visione un po’ irrealista della povertà, il romanzo ha una potenza narrativa e immaginifica che lascia a bocca aperta.
Lo stratagemma di suddividere i capitoli tra quelli che trattano la vita di fantasia della famiglia Joad e quelli, più storici, dove l’autore tratteggia la vera epopea dei mezzadri espropriati corsi verso la California in cerca di lavoro, è veramente una trovata riuscita e, credetemi, a volte trovavo più drammatici e ricchi di pathos i capitoli dove Steinbeck si tramutava da narratore di fantasia a vero e proprio giornalista.
C’è poco da dire, “Furore” è una storia senza tempo, un classico, dove si notano i mille difetti e lacune ma dove la potenza narrativa la fa da padrone e, tra le pagine, diventiamo noi lettori parte della storia, soffriamo per il destino di Tom, per la tristezza di Ma’, per l’impotenza degli uomini di fronte agli avvenimenti della Storia.
“Nell’anima degli affamati i semi del furore sono diventati acini, e gli acini grappoli ormai pronti per la vendemmia.” (Furore – J. Steinbeck)
“Un delitto così abietto che trascende la comprensione. Una piaga che nessun pianto potrebbe descrivere. Un fallimento che annienta ogni nostro successo. La terra è feconda i fiori sono ordinati, i tronchi sono robusti, la frutta è matura. E i bambini affetti da pellagra devono morire perché da un’arancia non si riesce a cavare profitto. E i coroner devono scrivere sui certificati “morto per denutrizione” perché il cibo deve marcire, va costretto a marcire.” (Furore – J. Steinbeck)
Lo strumento di morte, il trattore, uccide la terra e rasa al suolo tutto quello su cui prima c’era vita, le banche, la finanza sono agenti disumani che non tengono conto delle storie delle famiglie e dei loro bisogni, la forza della gente sfrattata e scacciata che riparte da un piccolo camion comprato a peso d’oro e va a cercare lavoro senza avere nessun soldo da parte, sperando, pregando nella fortuna, o meglio, nel fatto che la buona volontà venga premiata, tutto questo è narrato nei particolari e, vi giuro, mette il magone ad ogni pagina perché riusciamo, grazie a Steinbeck, ad entrare dentro alla storia e a soffrire con i vari personaggi.
L’epilogo, di cui non dirò nulla, è un momento di catarsi: dove la miseria umana, arrivata al limite, si sublima nell’altruismo più assoluto.
Conclusioni
Tutti questi assoluti mi hanno fatto un po’ storcere il naso ovviamente ma, lasciando perdere gli inutili dettagli, le idee troppo semplicistiche e buoniste, “Furore” rimane un grandissimo capolavoro che dovremmo far leggere nelle scuole per insegnare l’amore per la propria famiglia ma, soprattutto, il senso di responsabilità e il bisogno di non smettere mai di sperare.
Scrivetemi nei commenti se vi è piaciuto questo libro e cosa ne pensate di Steinbeck come scrittore!
A presto!
Scheda Libro
Titolo | Furore |
Autore | John Steinbeck |
Genere | Romanzo |
Titolo Originale | The Grapes of Wrath |
Prima Pubblicazione | 1939 |
Numero Pagine | 633 |
Voto: