Alzi la mano chi non ha mai sentito pronunciare la frase “Il femminismo ha fallito.” (oppure, nelle fantasiose varianti ad effetto, “Il femminismo è morto!”, “Il femminismo non è mai servito”, eccetera, eccetera): una locuzione di grande effetto se detta in pubblico, magari, da qualche uomo disinformato. Eh sì, perché il femminismo non è morto, anzi, è vivo e gode di ottima salute: semplicemente, come tutte i grandi movimenti politico-sociali della storia, si è trasformato, si è adeguato ai tempi. Adesso si parla di Body activism, ossia, la strenua difesa che alcune attiviste provenienti da ogni parte del mondo attuano nei confronti del corpo della donna e delle sue rappresentazioni, soprattutto utilizzando la rete. Non si tratta solo di proteggere l’immagine femminile dalle strumentazioni pubblicitarie e pornografiche alle quali, purtroppo, il nostro paese è quanto mai avvezzo, non stiamo parlando solo di anti-velinismo ma di un problema radicato in tutte noi che è il prodotto di una società malata spalleggiata dalle forze politiche.

Provate anche solo a cercare in google la parola “dieta” e vi comparirà una miriade di siti tutti pronti ad offrirvi milioni di diete diverse ma il messaggio è solo uno: se sei magra, anzi, magrissima, sei bella e felice.

Non è un tentativo di ignorare o, ancor peggio, sottovalutare, il crescente numero di morti per obesità nel mondo (che solo in Italia sfiora i 58.000 morti annui) ma il voler ricordare che, vicino alla crescita smodata del peso dovuta ad abitudini alimentari sbagliate, junk food, stress e vita sempre più sedentaria, si fa sempre più enorme il numero delle ragazzine (il 90% sotto i 18 anni) ammalate di anoressia e bulimia, come ha riscontrato una recente ricerca fatta in UK. In Italia, per esempio, l’indice di massa corporea delle più giovani raggiunge a malapena il 21,4, dato che non è per niente rassicurante ed è il più basso di tutta l’Europa. Il body activism è intenzionato a combattere, soprattutto, quella che, nel tempo, è diventata una visione cronica di pensiero che vede le donne in sovrappeso come reiette, le vede condurre una vita misera, infelice perché l’importante rimane per tutti rispettare dei modelli precostituiti che vedono le donne più come appendiabiti che come creature dotate di cervello ma, soprattutto, di un’anima.

E, così, spiccano alcune figure all’interno del panorama del movimento che da anni si danno da fare per combattere la legge del “manichino”: ad esempio, Sharon Haywood, fondatrice di Anybody.org, che da sempre è in prima linea per la corretta applicazione della legge sulle taglie che dovrebbero andare dalla 40 alla 50, oppure la psicoterapeuta inglese Susie Orbach che addita lo stato e la classe politica come i principali responsabili del prolificare delle diete, dei centri di dimagrimento e delle multinazionali produttrici di medicinali per la perdita di peso (molto spesso dannosi e inutili). Lo stato, infatti, sensibilizza ma nella maniera sbagliata, portando agli estremi la lotta contro l’obesità e lasciando che la pubblicità e la moda degenerino spesso nel culto dello scheletro, nell’appiattimento dei modelli femminili.

Persino la famosa scrittrice Eve Ensler si è messa in campo per opporsi all’immagine di un corpo femminile distrutto ed emaciato e, nel suo ultimo libro “Il corpo giusto” uscito nel 2005, ha evidenziato come questa assoluta e cronica mistificazione delle diete, del culto del corpo abbia ridotto l’universo d’interessi delle donne, abbia concentrato in un piccolo punto d’importanza ridotta l’attenzione e il loro tempo che, invece, potrebbe, e dovrebbe, essere speso in altro, in impegni concreti, nella preoccupazione altruistica per ciò che è al di fuori di noi. La provocazione c’è e si sente. La domanda che mi sono fatta è questa: viviamo in una società edonistica tutta indaffarata a renderci angosciati per la nostra salute, per i nostri chili di troppo, compriamo giornali, riviste che ci vendono idee distorte che noi non leggiamo con coscienza critica forse perché nemmeno abbiamo la forza di farlo, siamo bombardati da immagini di donne bellissime che fingono per la maggior parte del tempo di esserlo senza sforzo alcuno, donne magrissime e sofferenti, donne estremamente tristi e stupide, terribilmente stupide, ma, allora, questa sensibilizzazione alla cura di noi stesse non sarà mica uno stratagemma per farci dimenticare noi stesse? Non sarà mica un modo molto subdolo, proprio perché apparentemente altruista, di metterci a tacere, di distoglierci dalle cose che davvero contano? Il corpo è, quindi, uno strumento politico, un’arma in mano ai potenti? E noi donne vogliamo veramente restare al loro gioco? Molte volte mi ritrovo a pensare che sì, siamo state sconfitte, il femminismo è morto, noi siamo morte, soprattutto se accendo la tv o cammino per strada e mi ritrovo davanti uno di quegli enormi cartelloni pubblicitari con la bellona di turno che alla prima ruga avrà un esaurimento nervoso e sparirà nel nulla, ma, poi, mi vergogno di averlo pensato, perché so che non è così, che la lotta per l’affermazione del nostro potere, della nostra importanza centrale nel mondo parte solo da noi, da noi piccole donne in sovrappeso che siamo a terra e non appiattite su una pagina di giornale.